Una giornata con l’amico cavallo

Il giorno 4 settembre 2010 si è tenuta a Pollenza, presso il maneggio “Cavallo a dondolo” una giornata di riabilitazione equestre per ragazzi e bambini ipovedenti e non vedenti, organizzata dall’Unione Ciechi di Macerata.

L’intento della giornata era quello di avvicinare i ragazzi all’esperienza della TMC ed aiutarli a superare i proprio limiti ed eventuali paure, approfittando dell’occasione anche per stimolare la socializzazione sia dei bambini/ragazzi tra di loro, sia delle loro famiglie, condividendo vissuti e scambiandosi pareri e consigli.

L’Associazione cavallo a dondolo è una ONLUSS nata otto anni fa (2002) con l’intento di promuovere riabilitazione equestre con tutti i tipi di disabilità, lezioni di equitazione per persone normodotate, trekking a cavallo.

La ragione per cui i volontari del maneggio hanno scelto di promuovere attività tanto differenti tra di loro è quella dell’integrazione. Non sarebbe stato corretto pensare di creare un posto “solo” per i disabili, perché in tal modo si sosterrebbe l’idea di una separazione e del bisogno di posti “speciali” per i non-vedenti; viceversa la presenza di un ambiente che permetta l’incontro e la condivisione garantisce l’accettazione dell’altro e il riconoscimento delle sue potenzialità, nella logica del rispetto e dello scambio, in uno spazio vissuto e condiviso. Proprio per questo motivo anche gli stessi volontari sono sia vedenti che ipovedenti e lavorano insieme agli ospiti del maneggio sempre contemporaneamente.

Il plesso in cui è allocato il maneggio è una casa privata messa a disposizione da una delle volontarie. La struttura è ampia ed è così organizzata: appena arrivati a sinistra si trova il campo recintato in cui si lavora con i cavalli, proseguendo, mantenendosi sempre a sinistra, si alloca una piccola dependance con davanti una veranda.
Continuando a scendere si incontra, sempre sullo stesso lato, l’abitazione della volontaria caratterizzata da un portico molto grande con dei tavoli di legno e delle panche. Di fronte all’abitazione si stende un manto verde con alcuni giochi per i bambini. Spostandosi invece più a sud rispetto ad essa ci si addentra in un piccolo bosco: in fondo a destra sono situate le stalle ed a sinistra è collocato il tondino in cui si lavora da terra con i cavalli o con i poni. A sinistra del tondino c’è uno spazio più ampio rispetto al campo di lavoro in cui i cavalli possono muoversi con maggior libertà e rifocillarsi.

I cavalli del maneggio sono principalmente due:

  • Sorpresa: un sella italiano marrone scuro, mesomorfo, quindi di altezza media;
  • Perla: un sella italiano color sauro, con una sellatura più alta rispetto a quella di Sorpresa.

Oltre ai cavalli sono presenti anche due poni per lavorare con i bambini più piccoli e per le pratiche da terra: Camilla, bianca e rossa a macchie e Dori, dal manto tutto nero.

Giunti al maneggio c’è stato un momento iniziale di conoscenza tra tutti i presenti. Disposti in cerchio e seduti a terra sul prato di fronte all’abitazione, ciascuno si è presentato agli altri, consentendo da una parte agli ospiti di memorizzare le voci dei volontari e dall’altra permettere a quest’ultimi di riconoscere i bambini, gli adolescenti e gli adulti con cui si sarebbero rapportati in tutta la giornata. È stato un momento molto importante, sia per rompere il ghiaccio iniziale sia per creare un clima di serena conoscenza e di fiducia tra i presenti, nonostante molti di loro già si conoscessero per via di altre attività organizzate dall’associazione.

Nello specifico il gruppo misto dei partecipanti era composto da 16 persone tra bamini e ragazzi di cui:

  • 7 maschi e 9 femmine;
  • 11 ipovedenti e 5 non vedenti;
  • 2 di loro presentano altre minorazioni di carattere cognitivo e motorio

Successivamente a questa fase di presentazione e di saluti, i volontari dell’Associazione hanno iniziato ad illustrare il maneggio, ne hanno descritto le parti, hanno riepilogato l’organizzazione della giornata e date indicazioni generali su come stabile un buon rapporto con i cavalli.

Tra i primi argomenti presentati circa la riabilitazione equestre vi è stato quello della descrizione del cavallo più adatto alla realizzazione di tale pratica. Esistono diversi tipi di destrieri idonei a compiere ciò l’importante comunque è che siano sempre sani e lavorati. Ciò significa che la variabilità delle componenti del quadrupede sono una ricchezza in più per il lavoro che si andrà a svolgere, perché così come ogni individuo è diverso dagli altri, lo stesso vale anche per gli animali.

L’essere un cavallo sano significa anzitutto essere privo di zoppie e di dolori di qualunque tipo che potrebbero costringerlo ad avere andature rigide ed incostanti. I problemi di schiena potrebbero ridurne la capacità di caricare pesi. Disturbi a livello intestinale potrebbero renderlo soggetto a coliche o costipazioni. Deficit a carico del sistema cardio-respiratorio gli potrebbero precludere le attività più dinamiche come le galoppate o il lavoro pre-sportivo.
Chi compie infatti terapia a mezzo del cavallo ha una doppia responsabilità sia nei riguardi dell’animale che delle persone con cui andrà a lavorare.

Allo stesso tempo l’animale deve essere “sano di testa”, cioè ben disposto a lavorare. Spesso si cade nell’errore di ritenere che le mansioni del cavallo da riabilitazione siano poco impegnative perché quasi sempre svolte al passo; in realtà ciò può risultare estremamente noioso e frustante per il quadrupede riducendo di molto la qualità della prestazione. È dunque fondamentale alternare le diverse attività, dalla riabilitazione, al galoppo, alle gare ad ostacoli, per consentire all’animale di svolgere pratiche differenti garantendo così una buona riuscita anche della terapia. Sempre nell’arco della conversazione iniziale, sono state fornite alcune indicazioni sul modo ideale di approcciarsi con il cavallo. In primo luogo si è detto che è di primaria importanza imparare a stabile un rapporto e un contatto diretto con l’animale apprendendone le singole caratteristiche e le peculiarità, iniziando proprio dalla sua pulizia.
Altra questione significativa è stata cosa fare quando si è vicini ad un quadrupede:

  • anzitutto ricordare che il cavallo è un animale predato, perciò soffre di paure che potrebbero spingerlo alla fuga improvvisa;
  • è dunque essenziale riuscire a calmarlo e tranquillizzarlo con gesti tranquilli e mai inaspettati;
  • è ideale muoversi sempre con molta calma e delicatezza evitando di provocare rumori destabilizzanti ed avvicinandosi sempre di fronte, in modo tale da essere ben visibili.
  • Allo stesso tempo: cosa non fare?
  • Muoversi posteriormente al cavallo, che sentendosi indifeso potrebbe reagire scalciando.

In seguito a questa panoramica generale e prima ancora di addentrarsi nelle attività previste dalla TMC, è stato effettuato un momento di orientamento e di mobilità all’interno della struttura stessa.
Ogni ragazzo non vedente insieme ad un genitore o ad un adulto vedente o ipovedente hanno percorso gli spazi del maneggio per prendere confidenza con i molteplici percorsi e gli eventuali ostacoli della struttura.

Questa fase di conoscenza dell’ambiente è stata fondamentale perché l’orientamento nello spazio permette al bambino/ ragazzo di dirigersi verso la meta prefissata nel modo più sicuro possibile, attraverso l’uso del tatto, dell’udito e dell’olfatto.

Per far ciò gli ospiti si sono disposti in fila a coppie ed hanno seguito le due volontarie del centro che ne hanno descritto verbalmente ogni singola parte attraverso l’uso degli indicatori spaziali.

Le stesse hanno anche più volte sollecitato i bambini a toccare alcune parti degli spazi presenti, per far sì che ognuno potesse avere maggior coscienza e migliorare la percezione pluri-sensoriale.
L’handicap visivo infatti sottrae al bambini importanti punti di riferimento, quindi il tatto e l’udito diventano i principali sensi di conoscenza e di esperienza, attraverso cui strutturare le immagini dell’ambiente circostante.

Il toccare sarà dunque finalizzato a che la sua mente completi, con l’ausilio dell’immaginazione, ciò che la vista non può offrigli .

Terminata anche questa fase di conoscenza del plesso, gli ospiti ed i volontari si sono recati nel campo all’ingresso del maneggio, dove erano già stati condotti in precedenza i cavalli, Sorpresa e Perla.
Il lavoro iniziale che si sarebbe effettuato con essi sarebbe stato di pulizia, proprio perché è tramite quest’ultima che:

  • si attiva la sensibilità superficiale dell’animale;
  • si controlla il suo stato di salute;
  • si avvia una fase di preliminare conoscenza e di reciprocità tra la persona e il cavallo.

Prima ancora di entrare nel vivo della pratica e coinvolgere i bambini/ragazzi in prima persona, una volontaria del centro ha spiegato cosa volesse significare la pulizia e come quest’ultima dovesse essere effettuata per avere risultati benefici.

Gli ospiti in silenzio hanno ascoltato ogni passaggio del procedimento, apprendendo che tale pratica quotidiana serve a eliminare le incrostazioni di sudore che si formano nella zona della sella e delle cinghie del sottopancia del cavallo ed i residui di fango o sabbia, che, se non rimossi potrebbero causare escoriazioni, dette fiaccature.

Compiendo le quotidiane operazioni di pulizia si svolge inoltre un massaggio benefico sul mantello e sui muscoli sottostanti (sotto il mantello, scorrono i “muscoli pellicciai” che il cavallo utilizza abitualmente per scacciare le mosche con la vibrazione del mantello che tutti notiamo) stimolando la circolazione dei vasi sanguigni e riscaldando la muscolatura dell’animale.

Anche la pulizia del piede è fondamentale per la buona salute dell’unghia che, se trascurata a lungo, rischierebbe addirittura di imputridire. Bisogna ripulire regolarmente gli zoccoli dai residui di lettiera, terra e sabbia, almeno due volte al giorno, prima e dopo il lavoro.

Oltre ciò per mantenere sano il piede del cavallo, è essenziale verificare che non ci siano sassolini, vetri o altri corpi estranei incastrati tra l’unghia e il ferro e che i tessuti del piede non siano troppo molli o eccessivamente secchi, utilizzando la curasnetta, l’apposito attrezzo in ferro o plastica dotato di impugnatura con la parte terminale a uncino, necessario per togliere dagli zoccoli i residui di terra e sabbia e cospargere lo zoccolo con grasso idratante ed emolliente per le unghie, utilizzando un pennello.

Per la pulizia del mantello si utilizzano tre tipologie di spazzole: la striglia, il bruscone e per la lucidatura la spazzola morbida.
La striglia serve per massaggiare tutto il mantello del cavallo. Essa è una particolare “raspa” in ferro o in gomma di forma ovale dotata di dentellatura, necessaria per sollevare il pelo del cavallo. Si utilizza partendo dal collo, con movimenti circolari della mano, scendendo pian piano lungo tutto il corpo e le zampe. La striglia va inoltre pulita spesso durante questa fase battendola leggermente contro la parete per far cadere lo sporco raccolto.

Terminata questa fase si procede con l’utilizzo del bruscone: una grande spazzola con setole in radica o sintetiche, che va passata sempre partendo dal collo del cavallo con movimenti circolari sino alle zampe.

Per finire si utilizza una spazzola morbida che ha il compito di eliminare i residui di sporco e lucidare il pelo dell’animale; anche essa come le altre prevede l’esecuzione di movimenti circolari.
Questa pratica di pulizia del cavallo è chiamata anche Grooming.

Concluso il momento della spiegazione è stata la volta dei bambini e dei ragazzi, che si sono messi in gioco per capire cosa significhi veramente accudire un cavallo. A coppie si sono introdotti nel recinto e con l’aiuto dei due volontari hanno iniziato ad eseguire le pratiche precedentemente descritte, salvo che quelle della lucidatura e della pulizia degli zoccoli, su Sorpresa e Perla.

Ogni ragazzo, concluso il suo turno, doveva poi a sua volta spiegare al compagno successivo le manovre da dover eseguire, supportandolo nella pratica dell’intervento di pulizia, sia con consigli verbali che con supporti fisici.

La ragione di tale scelta è rinvenibile nel fatto che:

  • lo scambio e il tutoring stimolano ed incrementano la socializzazione tra i ragazzi alimentando anche la fiducia reciproca;
  • l’altro funge da esempio e dà coraggio per mettersi in gioco;
  • si prende confidenza con l’animale e si impara a controllare i propri movimenti nello spazio;

Tutti i ragazzi hanno eseguito la pulizia dell’animale con molto entusiasmo, nonostante qualcuno inizialmente l’abbia fatto con più remore di altri; persino qualche genitore ha sperimentato la stessa proposta fatta ai figli, che sono stati in questo caso la loro guida di riferimento nell’esercizio.

Successivamente nel campo è rimasto soltanto un cavallo, Sorpresa, che è stato bardato e preparato per eseguire la pratica di montatura da parte dei bambini/ragazzi, sempre sotto l’assistenza dei volontari.
Prima di salire in sella ognuno si è fatto “riconoscere” dall’animale, dandogli un piccolo colpo o carezza sul collo quasi come se fosse un rituale di riconoscimento per poi iniziare l’andatura al passo all’interno del campo.

Inizialmente i bambini si sono lasciati condurre dal quadrupede e dai terapisti, cercando di prendere confidenza con le diverse sensazioni, come l’altezza del cavallo, il suo movimento sinusoidale, il rumore degli zoccoli, mantenendosi saldi alla maniglia della sella, per poi provare a prendere le redini e ad effettuare alcuni semplici comandi di guida. Essendo per molti la prima volta le manovre che i volontari hanno insegnato loro sono state quelle dell’arresto e della ripartenza dell’animale. Per effettuare la prima è necessario avvicinare le redini verso il proprio busto e far resistenza, viceversa per la seconda è sufficiente allentare la presa e sollecitare con un colpo delle staffe il ventre del cavallo.

Quasi tutti i partecipanti hanno cavalcato singolarmente, con l’eccezione di due bambini, D. e L. che, avendo gravi problemi neuro-motori e cognitivi, sono stati assistiti da un terapeuta professionista nella pratica del back-riding.

Quest’ultima consiste nel montare sull’animale una particolare tipologia di sella che permette sia al terapeuta che al bambino di cavalcare contemporaneamente lo stesso cavallo, consentendo da un lato all’educatore di controllare e mantenere la postura del soggetto con problemi muscolari e dall’altro a quest’ultimo di sentirsi più sicuro data la presenza dell’esperto vicina.

Tutti i bambini hanno preso parte a questa attività con molto entusiasmo, cogliendovi l’occasione per cercare di superare le proprie paure, soprattutto quella dell’altezza del cavallo; sono riusciti, inoltre, bene a destreggiarsi con le redini e nessuno si è rifiutato di provare a guidare l’animale con i due semplici comandi, poc’anzi descritti.

Al termine della mattinata si è effettuato tutti insieme il pranzo sotto al porticato, in cui genitori e bambini hanno trovato l’occasione per conversare e raccontarsi delle attività e delle emozioni provate durante le prime ore della mattinata.

Nel primo pomeriggio invece sono state effettuate altre due significative attività di domo etologia del cavallo.

Anzitutto ci si è recati nella parte più a sud del maneggio e nello specifico nel tondino. Quest’ultimo è un piccolo recinto dalla forma circolare, come si può ben desumere dal nome stesso, che permette maggiori movimenti di fluidità e di “fuga” all’animale e in cui generalmente vengono effettuate le pratiche di guida a terra del cavallo e di join-up.

La prima è stata attuata non mediante un cavallo, ma un poni, vista l’altezza dei bambini. Tale esercizio consiste nel condurre mediante l’ausilio di una corda l’animale all’interno dello spazio circolare, cercando di lasciare che sia il bambino ipovedente o cieco stesso a lavorare con il quadrupede in modo quasi autonomo. È logico che la presenza dei volontari è pur sempre costante, ma gli stessi lasciano maggior intervento al ragazzo che ne trae beneficio soprattutto in termini di autovalorizzazione.

Questa pratica, infatti, è molto significativa perché permette al non-vedente di scoprire le proprie capacità di efficienza e di precisione nel rapporto con l’animale, alimentando l’autostima e l’autosoddisfazione nei riguardi della propria persona.

Lavorare a terra con il poni diventa allora una parte importante del programma riabilitativo. Il soggetto deve superare difficoltà ed ostacoli con un lavoro che, se da un lato può assumere aspetti ludico-ricreativi, per l’altro richiede equilibrio emotivo e disponibilità educative.

Anche in questa occasione ciascun bambino si è avventurato nella pratica della guida e la stessa possibilità è stata riservata anche al bambino con disturbi neuro-motori. Rispetto agli altri D. è stato logicamente più supportato dagli operatori, dal momento che, essendogli impedito il movimento, si trova in carrozzina. I volontari hanno, inoltre, ritenuto più proficuo eseguire l’esercizio sulla strada asfaltata piuttosto che direttamente nel tondino, perché in quest’ultimo il terreno non è omogeneo e si sarebbe fatta troppa fatica a muovere la carrozzina seguendo il ritmo dell’andatura dell’animale.

Prima di passare all’ultimo momento previsto dal programma della giornata, si è tornati a lavorare sull’attività di montatura con A., una bambina molto piccola di età arrivata al maneggio soltanto nel primo pomeriggio. Dal momento che A. oltre ad essere piccola d’età è anche è molto più bassa rispetto agli altri, anche fosse arrivata in mattinata, non sarebbe stato comunque possibile pensare di impostare un’esperienza direttamente a cavallo, tanto che gli stessi assistenti hanno ritenuto più opportuno farla lavorare nel tondino con Camilla, il poni.

Anche per A. sono state comunque attivate le stesse procedure che per gli altri bambini/ragazzi, vale a dire in un primo momento la bimba ha interiorizzato l’esperienza dell’andatura dell’animale e poi ha cercato di apprendere le principali modalità di conduzione per metterle direttamente in pratica.

Infine in chiusura è stata proposta l’attività di Join-up. Questa pratica che letteralmente significa unire, connettere, prevede l’instaurazione di un “dialogo” tra uomo e il cavallo utilizzando comportamenti analoghi a quelli che usano i cavalli tra loro allo stato selvatico; in particolare l’uomo adotta il comportamento di un soggetto dominante.

Il cavallo è un animale gregario per natura e si sente in pericolo quando è isolato dal branco; nella doma etologica l’uomo rappresenta il branco a cui il cavallo decide di aggregarsi per non rimanere da solo e per cercare protezione. Questo tipo di doma non prevede metodi coercitivi ed il cavallo durante il lavoro è sempre libero di mettere in atto la fuga che, in natura, è il mezzo di difesa primario.

Con questo metodo è il cavallo che sceglie di stare con l’uomo, senza che ne sia obbligato con la forza. Il centro del tondino rappresenta il posto dove il cavallo può aggregarsi all’essere umano, ricevere carezze e sentirsi al sicuro. Il metodo cerca di realizzare un’associazione detta proprio “join up” tra uomo e cavallo basata sulla fiducia e sull’accettazione da parte di quest’ultimo della leadership dell’uomo. Per ottenere ciò è necessario adottare atteggiamenti comprensibili all’animale, non potendo pretendere che sia il cavallo ad adeguarsi al nostro modo di comunicare. Il Join up, che si svolge con un solo cavallo per volta all’interno del tondino, prevede dunque quattro fasi:

  • allontanamento del cavallo;
  • avvicinamento;
  • contatto;
  • associazione.

Nella fase di allontanamento l’addestratore si posiziona al centro del tondino e, mediante particolari posture e movimenti, induce il cavallo a correre alla periferia del recinto (reazione di fuga), finché non manifesta atteggiamenti indicanti la volontà di “dialogare” con l’uomo. Essenzialmente ciò consiste nel rivolgergli attenzione ed accettarne la leadership e cioè: movimenti di masticazione, abbassamento della testa verso il terreno, orecchie portate leggermente di lato e rivolte verso l’addestratore, posizione degli arti anteriori divaricati quando il cavallo è fermo. La successiva fase di avvicinamento consiste nel permettere al cavallo di avvicinarsi all’uomo nel centro del tondino ed annusarlo. In seguito si ha la fase del contatto, in altre parole delle carezze da parte dell’uomo, dapprima sulla testa, poi sul collo, sul torace, infine sul posteriore. La fase finale, cioè quando il cavallo manifesta la volontà di stare vicino all’addestratore e seguirlo quando cammina, rappresenta la piena realizzazione dell’associazione (join up).
Quest’ultima fase indica che il cavallo riconosce l’uomo come capobranco ed è disposto ad accettare le sue richieste. Durante le varie sequenze dell’esercizio, se il cavallo si distrae o comunque interrompe il “dialogo” con l’addestratore, quest’ultimo lo allontana e lo induce di nuovo a correre lungo il perimetro del tondino, ponendolo in una situazione di disagio, finché non mostra di essere disposto a collaborare. Quando viene raggiunta la fase dell’associazione, il cavallo ha acquistato fiducia nell’addestratore ed accetta, anche se con gradualità, le sue manipolazioni, preludio alle operazioni successive.

Questa esperienza di avvicinamento all’animale in modo differente rispetto al lavoro a terra effettuato nel primo pomeriggio, si è dimostrata molto gratificante per i bambini/ragazzi che hanno imparato, sempre con l’aiuto del terapeuta, ad avvicinarsi e mettere in atto un contatto sempre maggiore con il cavallo divenendo per lo stesso il “leader del branco”.

Al termine della giornata è stata fatta una verifica con i ragazzi rimasti per avere un feedback delle emozioni provate e delle eventuali paure relative al cavallo. Vengono di seguito inserite alcune considerazioni dei bambini/ragazzi:

  • S.: “Ero già stato a cavallo un’altra volta, ma durante l’esercizio di doma dolce pur non avendo provato paura, mi sono molto emozionato perché è sempre bellissimo salire e riuscire ad andare a cavallo, e come se ci si sentisse liberi.”
  • Al.: “Andare a cavallo è stata un’emozione forte, soprattutto riuscire ad addestrarlo, perché ho provato una sensazione di rispetto, perché qualsiasi cosa gli dicevo mi seguiva. Mi sono divertita molto e non ho provato paura di salire, anzi è stato un po’ come aspettare il principe azzurro.”
  • G.: “Per me non era la prima volta che salivo a cavallo, mi è piaciuto tanto e penso che l’ippoterapia di gruppo possa aiutare molto la socializzazione. Inoltre credo che il cavallo è un nostro amico e che ci risponda in base alla nostra personalità ed al modo con cui ci approcciamo a lui.”
  • N.: “Quella di oggi è stata una bella esperienza che mi ha permesso di conoscere come si addestra un cavallo ed alcune regole fondamentali per stargli vicino. Domando il cavallo ho provato belle emozioni e sono stato tanto felice anche se all’inizio ero un po’ in ansia per salirci sopra, poi però è stato tutto più semplice.”

L’esperienza è stata dunque un momento di forte crescita e di importante incontro per i ragazzi; soprattutto è stata un’attività fondamentale ai fini della socializzazione, del confronto reciproco, dell’apprendimento di alcune regole, specie per il bambino iperattivo, e anche di divertimento. È stato un modo per mettersi alla prova, attraverso attività nuove come quella dei join-up, e per valorizzare le proprie abilità e potenzialità.

Anche i genitori presenti hanno sottolineato l’importanza delle attività proposte per i propri figli, trovandole entusiasmanti e molto utili anche ai fini dell’integrazione e della conoscenza.

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